8.5.09

Un anno fa...



Fuori dal Fabric alle 5 di mattina c'è una sorta di mercato ma senza alcuna merce esposta.
Si passa tra due file strette di uomini che provano in ogni modo ad offrirti un comodo ritorno a casa in cab, un after-party in qualche locale appena aperto per l'occasione, una specie di panino che hanno il coraggio di chiamare hot dog.
Non si smette mai di lavorare qui, un cuore che pulsa 24 ore su 24, 365 giorni all'anno, compravendita continua di merci, sogni, desideri, vita.
Londra è la città che più di ogni altra ha in sè tutta la storia del capitalismo, le sue tappe e la sua evoluzione, la sua vittoria e le sue contraddizioni. Puoi trovare e comprare di tutto, puoi stravolgere completamente la tua vita o semplicemente essere di passaggio, l'importante è che tu capisca che sei solo, e che alternative non ci sono. Chi rema contro, anche se cospira in gruppo, si presenta comunque come fosse una sola persona, misteriosa e sconosciuta.
Scegliere l'anonimato è la via più sicura per continuare a lavorare dal di sotto dello spazio liscio che milioni di persone ogni giorno attraversano senza scambiarsi la benchè minima attenzione.
Restare ai margini vivendo continuamente al massimo, proprio come i ratti di Banksy o i bassi soffocati di Burial: musica che non ha nulla a che fare con l'inferno che si scatena ogni notte in un qualsiasi club, ma ne accompagna il momento dell'uscita quando i suoni rimbombano ancora in testa camminando da solo per le strade di Londra in cerca di un bus qualsiasi che ti riporti sano e salvo a casa.
Charterhouse street e Farringdon road alle cinque di mattina sono così, spartiacque tra i negozi del centro in attesa dei turisti del weekend e il deserto notturno metropolitano della City, ambientazione perfetta per un western post-moderno a metà strada tra Sergio Leone e Strange Days.
Nessun movimento sullo sfondo, solo qualche macchina che sfreccia veloce e che potrebbe benissimo non avere alcun guidatore. I suoni nelle orecchie sono quelli dei propri passi e del proprio respiro reso affannoso dalla stanchezza: il ciclo di 24 ore dalla sveglia delle sei e mezza mattutine per raggiungere Old Street dal sud di Brixton sta per concludersi, vittorioso ancora una volta.
Poche ore prima, quello stesso corpo, quelle stesse mani, quelle stesse gambe che ora reclamano riposo, si muovevano veloci al ritmo di batterie e bassi impazziti. Get Familiar è la serata mensile del Fabric organizzata da Switch e Sinden, non due nomi a caso ma tra i principali esponenti di quel movimento sonoro di cui è difficile trovare una categorizzazione, tra ghetto-tech / baile-funk / hip-electro / crunk e tante altre etichette inutili. L'importante è la massa di gente che riesce a spostare e le nuove leve che a Londra crescono come funghi.
Musica cafona al punto giusto: nessun rimpianto per quel basso che esce completamente dallo spettro sonoro, nessun compromesso con equalizzatori e decibel. Arrivare dritto al cuore del ritmo, estremizzando l'idea di mixare insieme garage, 2 step, loops hip-hop, voci distorte, baile funk, kuduro...
Come per la dubstep, un'ottima alternativa alla "dittatura" della drum'n'bass che continua a muovere intere masse anche a Londra senza stupire più di tanto e ripetendosi stanca.
Intorno a me una marea di ragazzini che saltano all'unisono con i colpi di cassa: sono tra i pochi a cui non chiedono un documento per entrare, in faccia i 28 anni si vedono tutti rispetto ai visi angelici dei "teppistelli" che mi trovo davanti. Lontano da qui molti dei miei coetanei hanno già appeso la vita al chiodo degli affari familiari, e nonostante l'ansia che monta nel corpo la mattina per la necessità di vivere ogni giorno al massimo, la felicità di resistere e i bassi che vibrano nella pancia compensano ogni disturbo.




(pic by davidjennings' flickr)

6.5.09

Today death match: swine flu 0 - US-led air strikes in afghanistan 120



mi sembrava strano che nessuno lo avesse ancora fatto.
Ci ha pensato The Streets, he's got swine flu!

5.5.09

Midnight in a perfect world



the world is better now...
it will be my soundtrack for all the next nights-out in london

Burial & Four Tet - Moth (via Cavacool.com)

27.4.09

Sound of Kuduro knocking at your doors!



Kuduro: 10 essential tracks from Masala blog (one of the best blog I've found recently)

http://masalacism.blogspot.com/2009/04/kuduro-10-essential-tracks.html

http://en.wikipedia.org/wiki/Kuduro

There is also a Jorge Antonio's film about Angolan music called "Kuduro, Fogo No Museke" (*translations: *kuduru literally means hard ass, *fogo literally means fire and
*musseque or museke - in some places called shantytowns, favelas, or ghettos but in Angola it’s the musseque
).
You can see it here: http://www.youtube.com/user/TugaVideosTV

...& Buraka Som Sistema are going to play in Rome @ Dissonanze (9 maggio, Palazzo dei Congressi)!!!





(pic is the poster of the film Kuduro, Fogo No Museke)

26.4.09

Taking pride in Lambeth Mixtape!



Taking pride in Lambeth Mixtape! Press here to download it (zshare)


Tracks selected on the buses 68 & N2 on my way home

Mixed with Garage Band in a quiet night in Auckland Hill, SE London

Tracklist:
1 - The Impressions - We must be in love
2 - J Dilla - Love (instrumental)
3 - Odissee feat. Phonte, Tor Cesay & Flying Lotus - The Perch
4 - Madlib - Dillalade Ride (Contact High)
5 - Doom - That's that
6 - The Long Lost - Woebegone (Flying Lotus Like Woe rmx)
7 - Burial - Shutta
8 - Kwes - Hearts in home
9 - Darkstar - Aidy's girl is a computer
10 - Ruckspin & Quark - Sunshine
11 - Prefuse 73 feat. Dimlite - No lights still rock (edit)
12 - Flying Lotus - Infinitum
13 - Hudson Mohwake - Overnight
14 - Joker - Snake Eater
15 - La Roux - In For The Kill (Skream's Let's Get Ravey Remix)
16 - Bat for Lashes - Daniel (Duke Dumont Remix)
17 - Kode 9 - Black Sun
18 - Bingo Players - Get Up (Diplo Remix)
19 - Chelley - Took the night
20 - Dre Skull + Sizzla - Gone To Far (Buraka Som Sistema rmx)

(thanx to Gigio for the cover! Pic taken by digitalesse's flickr photostream )

Now that i need you


http://pitchfork.com/news/35181-secret-four-tetburial-split-release-due/

"Details are (extremely) scarce, but a split 12" vinyl release from electronic innovators Four Tet and Burial called "Moth/Wolf Cub" is a thing that exists on this planet. That much we know.
The mysterious LP ships on May 4 according to Bleep..."

Norwood Road bus stop


Si riparte. Con poche parole, e più sound.
Da West Norwood, a sud di Brixton, in una Londra incredibilmente calda e solare.

(pic by googlemaps)

Seconds wasted: 1.579.675.586,00

Ne è passato di tempo...

11.12.07

J DILLA changed my life

Dillagence è l'ultima tra le uscite dedicate al produttore di Detroit scomparso nel febbraio 2006, una sorta di mixtape ideato da Mick Boogie in cui Busta Rhymes rappa come un ossesso, anche troppo per i miei gusti, sopra le basi (la maggiorparte già ascoltate, edite nei dischi ufficiali o pescate nella miriade di raccolte che compaiono come funghi su emule) di J Dilla. Strumentali di una bellezza imbarazzante a cui non serve alcuna aggiunta vocale, tanto che solo in pochi casi le rime di B.R. vanno ad impreziosire ("Takin what's mine" e "Lightworks" con Q-Tip e Talib Kweli) quello che a mio avviso rimane un'esercizio di libertà tradotto in musica difficilmente raggiungibile. Impossibile spiegare a parole l'amore che si arriva a provare per quelle schegge di suono che nel giro di appena un minuto e mezzo riescono a viaggiare da un'epoca musicale all'altra ed allo stesso modo esprimono in pieno lo spirito dei nostri tempi tra synth appena accennati, campioni volutamente "tagliati male" e ripetuti all'infinito. Suoni che ad un tratto implodono nell'incedere di un beat scarno o deflagrano nel lancio di una sirena che unisce un brano all'altro in una sorta di flusso continuo in cui non c'è spazio per alcuna regola costituita, l'hip-hop come definizione è qualcosa di completamente sorpassato, qua si gioca con la materia viva della musica: ritmo, cuore, fruscii continui, voci distanti ed in un attimo presenti lì davanti a te, come se un secolo di musica e di storia "nera" potesse ad un tratto passare per le molteplici vie di capolavori assoluti quali "Donuts", le strumentali di "The Shining", "Jay love Japan", "Champion Sound" e tutti le altre perle prodotte prima della prematura scomparsa.
J Dilla, e con lui Madlib e la cricca Stones Throw (la "Motown" del 2000), hanno finalmente dato un suono umano al nuovo millennio. Molto più di alcuni autori di musica elettronica contemporanea incarnano le idee di ricombinazione, flusso di coscienza, differenza e ripetizione cari ad autori come Deleuze e Guattari che affermavano che il filosofo opera sui concetti come una sorta di sintetizzatore.
Diceva Foucault del '900 che "questo secolo sarà deleuziano", "sbagliando" solamente nel riferirsi al XX secolo e non a quello che stiamo vivendo ora. Allo stesso modo per la musica, J Dilla rimarrà un punto di riferimento costante per centinaia di musicisti, dal jazz all'hip hop al funk, dance (Switch e Crookers ne sono l'esempio), pop (quanto Dilla c'è in alcune robe di Timbaland e Timberlake).
Esercizio insuperabile di stile, libertà, anticonformismo, passione e desiderio.
R.I.P.

(mp3 : J Dilla - Can't you see da "Jay love Japan")

7.12.07

1997/2007 - Csa Sisma

da www.csasisma.org

Sono passati dieci anni da quando a Macerata nasceva il sogno di un altro modo di vivere la nostra città, la nostra vita, la nostra storia.

Eravamo in pochi al freddo delle mura dell’ex-asilo di via Alfieri, ed ora ci ritroviamo in tanti riscaldati dal calore di una comunità sempre più ampia che giorno dopo giorno cammina con noi per un mondo dove diritti e libertà siano riconosciuti a tutti senza distinzione di razza, sesso e condizione sociale.

Per noi il Centro Sociale Sisma non è mai stato solamente un luogo, ma l’idea concreta e materiale che la cooperazione sociale, l’autogestione e l’autogoverno della società sono possibili e sempre più necessari in un momento in cui la politica ufficiale si allontana dai bisogni e dai desideri dei cittadini ed allo stesso tempo le derive populiste aggrediscono i fondamentali diritti del vivere insieme.

La possibilità di ridare voce e dignità alla democrazia partendo dal basso, dalla condivisione delle esperienze e delle proposte per una partecipazione maggiore delle persone alle decisioni della comunità, nel rifiuto di ogni soluzione di guerra e repressione ha sempre caratterizzato il nostro cammino. Da Genova a Parigi, dal Chiapas a Corridonia insieme a tutte le realtà che con noi hanno condiviso la battaglia per un altro mondo possibile.

Ed è così che siamo sempre ritornati ricchi di proposte e speranza in via Alfieri a Macerata, così sono nati altri luoghi come l’Ambasciata dei diritti in cui i nostri percorsi si sono intrecciati con quelli dei fratelli e sorelle migranti e precari, con i collettivi studenteschi e con la città tutta, reclamando e difendendo quei diritti che sono le basi di una società democratica e civile.

Oggi con la scusa della richiesta di una maggiore sicurezza in Italia e nel mondo si fanno strada culture dell’emergenza e della discriminazione razziale che credevamo sepolte in altre epoche storiche caratterizzate dall’annullamento di ogni diritto e libertà.

Per questo dopo dieci anni diciamo con forza che “La storia siamo noi”, dove il noi esprime tutte le persone e le comunità che all’isterismo securitario e razzista rispondono con l’integrazione sociale, l’affermazione dei diritti e delle libertà.

Macerata deve rimanere una città aperta e solidale, siamo qui anche per questo.

Il nostro sogno dopo dieci anni è quindi ancora più vivo e urgente, la nostra storia non è che l’inizio di un cammino per l’umanità contro chi devasta e saccheggia le nostre vite.

Link : MarcheGuida

6.12.07

Metallo urlante

"Le fiamme ci hanno investito, sembrava un'onda del mare, ma anziché acqua era fuoco. Se chiudo gli occhi vedo ancora le facce dei miei colleghi. Erano torce di fuoco: era come l'inferno. Ho cercato di aiutarli, strappavo loro i capelli bruciati, pezzi di vestiti"

3.11.07

Bolognina revolution

Arrivo a Bologna con un paio d'ore di anticipo. Sono quasi le otto, socio e compagnia arriveranno non prima di un paio d'ore da Milano. Tutto calcolato: adoro attraversare le città in solitaria, fosse anche per un'ora appena, e Bologna non la vedo oramai dal capodanno 2005. Quella volta finì con un mezzo collasso in camper, oggi al massimo è prevista una sbornia di medie dimensioni ma in mezzo a personaggi con un sacco di punti-scena. Prendo via Indipendenza: l'obiettivo sarebbe anche quello di fermarsi a bere qualcosa in un bar del centro, ma come al solito la meta diventa solo la metà di un percorso interminabile, tanto che quando guardo l'orologio è già ora di raggiungere il Covo. Bologna è ogni volta di più una città buia, spenta, arresa allo spirito di "guerra a bassa intensità" che oggi attraversa le strade di tante città italiane e non solo. E' Halloween ma in giro non c'è assolutamente nessuno: Piazza Maggiore praticamente vuota, sotto le torri due gruppetti con maschere di vario tipo pescate da V per Vendetta e Scream scappano verso chissà quale festa al chiuso di una casa o di un locale: dovrebbero essere loro a giocare a far fuggire le persone, ma qui sembra che nessuno abbia voglia di giocare. Qualche segnale di vita in via Zamboni, a vigilare i metronotte con le inquietanti divise "La Patria", comunque niente che spezzi l'aria funesta da coprifuoco permanente. Invitate la gente a restare chiusa in casa, montate un'emergenza dietro l'altra, mettete ad ogni angolo della vostra città polizia e telecamere a posto di musica, luci e spazi sociali, trasformate un omicidio individuale in un assassinio di massa di sanguinarie orde barbariche e questo vi ritrovate: città che appena chiusi i negozi assomigliano di più al set di un film di Romero che a luoghi dove vivere in comune le proprie esistenze. Nel bus verso il Covo incontro un'amica che studia a Bologna, ieri era alla manifestazione contro gli sgomberi delle case occupate: anche qui si continua a resistere all'ordine securitario e razzista, e inizio già a star meglio. Via Zagabria sarà pure un posto sperduto, ma il baretto sotto il Covo è sinonimo di "casa". Pochi minuti e arriva il socio milanese, il tempo di mangiare qualcosa e conoscere quel (santo) Ambrogio che ore dopo mi porterà sano e salvo in stazione nonostante tutto, e al Covo inizia il giro della morte: una serie di bevute offerte e ricambiate che ci porterà alla perdizione totale. In mezzo un sacco di bella gente, sudore alla menta e lime, due minuti appena di Fitnici Ritmici in apertura che siamo arrivati troppo tardi, un bel concerto degli Amari emozionatissimi ma anche per questo splendidi. L'acustica del salone alto e lungo del Covo certo non li aiuta, ma bastano pochi minuti e la legna inizia a salire fino al finale con tanto di "Don't stop movin' baby" degli Outher Brothers, ciliegina sulla torta delle varie citazioni "disco" con cui gli amari infarciscono i propri brani. E quando Pasta spara sulla folla con un bazooka lancia-coriandoli, il coprifuoco è già stato violato, la guerra a chi si diverte di più può partire, vincere è d'obbligo. Poche ore dopo sono a Roma, qua si respira un'altra guerra, in giro volantini incitano all'odio razziale, a pochi chilometri da dove dormo alcuni incappucciati stanno spaccando la testa a quattro rumeni, la redbull in corpo risale e dove prima c'era gioia ora c'è rabbia, allo stesso modo potente, allo stesso modo importante. Sì è vero, questo sembra non sia tempo per rivoluzioni, ma "è una scusa un'altra volta". E quando le fiamme dal bicchiere inizieranno a bruciare anche quelle poche "sicurezze"e libertà che ci sono rimaste, forse non avremo più voglia di restare a casa. Meglio pensarci prima, meglio non giocare col fuoco.

26.10.07

e sempre eterne matricole festeggiano il lutto di una nuova laurea

La Bolla” la chiamavamo, quella in cui entravano ignari le decine di ragazzi pugliesi e abruzzesi che finita la scuola venivano a soggiornare per diversi anni da noi.
“Scienze della comunicazione e dello spettacolo” indica il depliant.
All’inizio i buoni propositi, l’abbraccio caloroso della piccola città, le serate in compagnia passate a casa o in un qualsiasi pub del centro. Poi alcool a fiumi, cene e pranzi che si trasformano in aperitivi interminabili, i primi esami saltati, la rabbia dei genitori “che però, fanculo, stanno lontani mille miglia, ed oramai la mia famiglia è qui”. Gruppi solidi, compatti, tutto il giorno nella stessa casa a bere, fumare, qualche film, qualche cd, a volte assolutamente nulla, poi la spaghettata delle cinque di mattina, chiacchiere su chiacchiere, “cazzo il centro sociale adesso fa pagare 2 euro per entrare” “ehi fammi fare un altro tiro di coca” “ma dove l’hai presa? Quanto l’hai pagata?” “Che ti importa, tanto paga papà, lui crede che ci pago l’affitto” “Si ma non potrai stare per sempre qui da noi, il padrone di casa ci scoprirà” “Ehi, calma fratello, non mi stressare, toh fatti un sorso birra che ti passa… l’hai preparata la striscia?”.
E un bel giorno, dopo tanti e tanti anni, qualche capello in meno e qualche occhiaia in più, arriva anche la laurea, una bella tesi di 100 pagine che il tuo prof non ha neanche letto, ma chissenefrega! Guarda lì papà com’è contento, amici e parenti arrivati da fuori che si complimentano, Joe è già sbornio e presto lo raggiungerò, l’ultima sera nella Grande Bolla, poi da domani chissà.
Erano anni che non pensavo ad un domani, e oggi è la mia festa, il grande giorno è arrivato e non si pensa a nient’altro, l’ultima notte con la mia gente, la mia nuova famiglia, almeno fino a domani. La festa in cantina, un bicchiere veloce da Marì, poi un whisky da Giancarlo, all’Asilo Ricci ci sono altre due feste di laurea, andiamo e ci scoliamo tutto, fino all’ultima goccia, fino all’ultimo respiro, e prima che qualcuno si faccia male, prima che qualcuno si rompa una gamba per passare l’ennesima alba al pronto soccorso, canteremo insieme a squarciagola Il Ballo di San Vito, balleremo fino al mattino, ubriachi fradici.
Poi domani mattina, con il mal di testa e la camicia zuppa d’alcool, sceglieremo con calma se passare i prossimi anni della nostra vita nel tranquillo paesino natale, a prendere il posto di papà in azienda senza sapere neanche di che cosa si occupa questa benedetta azienda, metter su casa e famiglia, qualche sballo ogni tanto ma non troppo, droga tutte le sere certo. O andare a vomitare smog a Milano, il master pagato da papà, 24 mila euro per due anni più l’affitto e gli sfizi da pagare, “basta che poi ti trovi un lavoro eh? Sei un dottore oramai!” Lavoro? Dottore? Parole che fino a ieri non avevano neanche un senso per me, ed ora rimbombano nella testa, nel cuore, fin giù nella pancia e nello stomaco. Brucia più di qualsiasi sbornia, ma presto passerà. Un corpo addomesticato, un lavoro abbastanza serio e ben pagato da tenere a bada qualsiasi desiderio, insomma un Uomo, finalmente nel catalogo dei difficili ma grandi successi di ogni buon padre di famiglia.

(pic by galliot.com )

23.10.07

18-09-07 – In piscina

E’ come una morsa che ti stringe il cuore. Appena esci dal treno, senza neanche il tempo di respirare. Uno sguardo alla stazione, le solite facce ogni giorno più consumate.
M. sulla porta del bar, felice del suo campari-e-vino. E’ appena uscito dal lavoro e quello è il suo premio, la sua coppa da mostrare al mondo per dire: “ehi, nonostante tutto sono ancora qui, ancora vivo”.
Qualche passo e l’ansia che inizia a montare, le gambe si fanno più pesanti, la mano sul cuore, come dovesse scoppiare da un momento all’altro. Quante volte lo hai detto al tuo dottore di fiducia : “Senti Emanuele, è tutto ok, sei sano come un pesce, se vuoi facciamo le analisi del sangue…” “Ma le ho fatte un mese fa…” “E allora lascia stare, è solo un po’ d’ansia, il cambio di stagione, forse un po’ di sport ti potrebbe far bene”
E’ così che ieri mi sono ritrovato in una piscina, in mezzo a decine di cuffie multicolori, gli occhi arrossati dal cloro che ti guardano per capire chi sei. Perché qui tutti si conoscono, fosse anche solo di vista, e sicuramente hanno qualche aneddoto pronto su di te, da raccontare la sera a cena per spezzare il silenzio, di solito rotto solamente dalle urla del presentatore di turno in televisione.
Non c’è poi molto da fare a Macerata : “Ehhh, si tira a campare” dicono tutti all’ennesimo “Come va?” “Come stai?” che si ripete come una litania decine di volte nell’arco della giornata. Le solite stesse persone che ogni giorno incontri, e c’è sempre un motivo per fermarsi a parlare. Fosse solo la cortesia o l’imbarazzo comune nel doversi necessariamente salutare, nel doversi comunque scambiare una blanda emozione, sapendo benissimo che nessuno potrà cambiare il corso della tua giornata programmata nei minimi particolari fin dalla sera prima, quando i vestiti lavati e stirati sono già stati scelti e tirati fuori dall’armadio pronti ad essere mostrati al mondo per far capire che tu, in fondo, sei diverso da tutti gli altri. Per alcuni mostrare le proprie scelte qui ha un significato molto più alto, molto più profondo che in una qualsiasi sfilata di moda milanese: non si tratta di far vedere l’eccezionalità o la bellezza, per quanto effimera e scontata, ma di tentare di dar corpo alla propria identità, nella maniera più estrema possibile. Non importa quanto assurdo sarà il risultato, al massimo verrà visto come una richiesta d’aiuto, un disperato tentativo di farsi accettare da una società che ha già banalmente accettato tutti a priori, lasciandoti senza vie d’accesso e di fuga.

Oggi tabelline: quanto fa 25 x 9 ?

G8 Genova - I Pm hanno terminato la requisitoria con la richiesta di una pena complessiva di circa 225 anni di reclusione, da un massimo di 16 anni a un minimo di 6 anni, per i 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio.

Leggi su Global Project

22.10.07

Toccato il fondo, inizia a scavare

"Un milione, non contro Prodi" . Così titolava Repubblica ieri. Sì, nel 2007 è possibile anche un titolo del genere. E non si tratta solamente del livello di servilismo e faziosità raggiunto dal quotidiano più venduto in Italia; oramai la vergogna sembra sia una categoria non più applicabile alla politica. Tutti sui giornali dicono quel che vogliono, ed il giorno dopo fanno l'esatto contrario, senza alcun tipo di conseguenza.
Non si tratta solamente delle migliaia di persone, precari e sfruttati, senza casa e ai limiti di sussistenza, che hanno sfilato a roma e si sono lasciati (purtroppo) sfruttare ingenuamente da una manifestazione falsa, vuota di obiettivi e di significato, per salvare il culo dei partiti "alla sinistra" del partito democratico.
Il problema principale è un altro: fino a qualche anno fa, bastavano centomila persone in piazza contro i provvedimenti del governo di turno per decretarne la caduta o comunque condurre ad una crisi che doveva in qualche modo essere risolta con un "trauma" politico : la caduta del premier o di uno o più ministri, l'abbandono dei provvedimenti contestati etc. etc.
Cosa simile era successa pochi anni fa con la manifestazione contro la guerra, molto più vera di quella di sabato scorso ma cmq fallimentare: migliaia di persone in piazza, qualche articolo sul giornale e niente di più. Le truppe italiane rimanevano e rimangono lì dove sono, e la guerra è diventata oramai la nuova infrastruttura del potere imperiale, dalle bombe di baghdad al coprifuoco di Cofferati and co.
Insomma le manifestazioni "di massa" non producono più alcun tipo di crisi: sono un sintomo di problemi realmente esistenti, certo, ma finiscono per essere semplicemente una dimostrazione di esistenza. Una lotta senza alcuna efficacia, in un momento in cui invece servono dinamiche di conflitto radicale che sappiano bloccare l'erosione continua di diritti e prefigurarne di nuovi.
Non mi metto qui a provare a dare soluzioni, anche perchè ce ne sono diverse possibili, tutte da sperimentare sul campo. Una considerazione su alcuni esempi importanti è però possibile: dove le manifestazioni di piazza hanno espresso percorsi concreti ed autonomi (come nel caso delle contestazioni alla Tav, al Dal Molin, e qui nelle Marche alla Quadrilatero, movimenti che guarda caso alla manifestazione del 20 non hanno aderito), slegati dai partiti e dai politicanti di turno, con la produzione di consapevolezza e resistenza direttamente nei territori, le lotte hanno prodotto punti di crisi e creato un problema reale ai governanti, e perfino prodotto soluzioni alternative realmente praticabili nel rispetto del territorio e delle comunità.

Per approfondire su autonomia, democrazia e territorio, leggi qui

18.10.07

Sabot

Dal dizionario della moda :

È uno zoccolo con la suola di legno e la tomaia in cuoio chiusa sul davanti, che lascia completamente scoperto il tallone. Simile agli zoccoli usati in Olanda, ma senza la punta rialzata. In Francia, alla fine del '700, erano molto diffusi fra i rivoluzionari. Per tutto l'800 e ancora all'inizio del '900 sono portati dai figli dei contadini, almeno sino alla prima comunione. Nel film di Olmi
L'albero degli zoccoli (1978) sono il lirico emblema delle vicende di alcune famiglie contadine della Bassa bergamasca. Dopo quasi un secolo, cambia la classe sociale che li adotta come nuovo status symbol. Alla fine degli anni '60, in piena contestazione giovanile, sono portati con disinvoltura dai giovani e dagli hippy di tutto il mondo, anche in città e d'inverno con grosse calze in lana colorata.

Dal dizionario di "noi facinorosi noglobal" :

Il termine sabot nasce originariamente dalla parola turca sabata, che indicava una calzatura persiana. Il termine entrò nello spagnolo come zapata (oggi zapato – scarpa da cui l’italiano ciabatta) e nel francese come sabot (zoccolo). Per una curiosa coincidenza della storia, la radice etimologica di questa parola ha finito con l’intrecciarsi a grandi movimenti di opposizione e ribellione sociale. In Messico il nome Zapata mutua l’etimologia del termine e finisce con il trasferirla nella denominazione di un vasto movimento rivoluzionario: lo zapatismo. In Francia tra la fine del 18esimo secolo e l’inizio del 19esimo i sabots indossati dai lavoratori francesi vengono gettati negli ingranaggi dei macchinari utilizzati nelle fabbriche per bloccarle ed arrestare la produzione: da sabot verrà così coniato il termine sabotaggio.

Tutto ciò per dire che domenica sono qui

17.10.07

Corpo senza organi

Ho sempre diffidato dei blog. Li ho spesso evitati, trovavo (e trovo ancora) nella lora infinita autoreferenzialità qualcosa di incredibilmente narcisistico, a volte un malcelato masochismo nel descriversi agli altri nel peggiore dei modi, o l'esatto contrario. In ogni caso una sorta di fuga dal corpo e dalla realtà, cercare di smaterializzarsi o purificarsi in un nuovo mondo. In quello reale non ci sono più spazi, non c'è più un fuori, non ci sono più frontiere da conquistare, tanto vale provare una seconda vita. "Second life" ne è appunto il simulacro, il simbolo di questa fuga forzata nella rete, naturalmente perdente e illusoria. Ma devo dire che molte volte mi sono dovuto ricredere, ci sono degli spazi che riescono realmente a tenere un contatto con la realtà, anzi a diventare una sorta di prolungamento del proprio corpo. La retorica del cyborg in questo caso ha un senso. Non certo nel creare avatar immaginari in una seconda vita; ma nel variegato mondo dei blog ci sono ottimi esempi di riconquista del reale ed a volte anche una spinta al cambiamento. Per intenderci, niente a che vedere con la propaganda dei media verso l'utilizzo dei blog da parte di politici e politicanti, di grilli e simili. Anzi, l'esatto contrario: c'è chi è riuscito a trasformare uno spazio totalmente vuoto in un mezzo di discussione, descrizione, critica della realtà, dei rapporti di produzione, del rapporto tra città ed individuo, tra reale e virtuale. "Coltivo dove tutti han detto che non cresce un cazzo" dicevano gli Otr. Mi piace immaginarli così i bloggers: agricoltori post-moderni che del post-moderno hanno incarnato tutte le contraddizioni, la capacità di pensarsi e vivere in un mondo in totale cambiamento e cercare di darne una descrizione, ma allo stesso tempo il nichilismo e la sofferenza verso ciò che non comprendiamo, verso uno sfruttamento ed un controllo capillare che oggi fa parte delle dinamiche della società. Da qui la tentazione di scadere in un individualismo esasperato, autoreferenziale, fuggire dal corpo verso il nulla o rifiutare qualsiasi possibilità di una "grande" narrazione.
Le intenzioni di questo blog naturalmente sono altre, ma non sempre, soprattutto nella rete, le intenzioni combaciano con i risultati.
Per questo Go canny è un blog in prova, a tempo determinato, più precario che mai. Tre mesi di tempo per capire come funzionano questi luoghi, attraversarli ed in caso abbandonarli, oppure renderli piacevoli compagni di viaggio.

(pic by insecondlife.wordpress.com )

16.10.07

Go Canny!!!

"Go canny!", cioè "vacci piano!", espressione dialettale con cui gli operai scozzesi chiamavano le prime forme di sabotaggio nelle fabbriche.
Negli anni '70 era "lavorare con lentezza", oggi non so come si possa declinare l'idea e la volontà di staccarci anche solo per un momento dalla routine del lavoro, quando i nostri sogni diventano ottimo materiale per la prossima campagna di marketing per l'azienda in cui lavoriamo, quando per avere uno sconto del 5% sul "Mastro Lindo" esibiamo la nostra tessera magnetica che offrirà informazioni preziose per il posizionamento delle merci in vendita e per costruire modelli di "consumatore-tipo".
Ci chiamano precari, ma produciamo valore anche quando dormiamo, anche quando scriviamo su un blog, senza alcun tipo di remunerazione (in un paese come l'Italia poi, unico insieme alla sola Grecia a non avere alcun tipo di sussidio di discoccupazione).
Eppure, nel riconoscere questo limite, la mancanza di un "fuori" dalle dinamiche di produzione, la vita messa a lavoro, c'è tutta la ricchezza e la possibilità di un nuovo passaggio, la possibilità se non la necessità di staccarsi dalla subordinazione e dall'arroganza delle regole di un mercato che non funziona più, di mettere in comune i propri progetti, le proprie idee, le proprie vite. Ci sono piccoli ma importanti esempi, da una posizione di forza i Radiohead ne sono uno, ma dal basso crescono le iniziative autonome di riappropriazione dei beni comuni e del proprio tempo, di un nuovo modo di costruire reti di resistenza al lavoro.
Go Canny! quindi è anche la risposta a chi ci chiede sudore e sangue per il suo guadagno, con il ricatto di non avere alternative, falsità dettata da un sistema culturale che mette il lavoro in primo piano come autocompiacimento e realizzazione della propria vita ("L'Italia è una repubblica fondata dal lavoro", ma vaffff.....)
Go Canny! è fermarsi a riflettere su se stessi e sul mondo, non dover per forza sottostare e accettare qualsiasi tipo di occupazione per essere finalmente qualcosa o qualcuno (chi poi, se non noi stessi?)
Go canny! è anche per me, ritagliare 10 minuti di tempo per provare a scrivere della propria vita, capirne il senso, provare traiettorie diverse in un momento di profondo cambiamento di noi stessi e del mondo. Fuori di qui, da una città che soffoca, che amo e odio alla follia, ma che ora ha bisogno di essere abbandonata un po'.

(pic by gigiomc )