3.11.07

Bolognina revolution

Arrivo a Bologna con un paio d'ore di anticipo. Sono quasi le otto, socio e compagnia arriveranno non prima di un paio d'ore da Milano. Tutto calcolato: adoro attraversare le città in solitaria, fosse anche per un'ora appena, e Bologna non la vedo oramai dal capodanno 2005. Quella volta finì con un mezzo collasso in camper, oggi al massimo è prevista una sbornia di medie dimensioni ma in mezzo a personaggi con un sacco di punti-scena. Prendo via Indipendenza: l'obiettivo sarebbe anche quello di fermarsi a bere qualcosa in un bar del centro, ma come al solito la meta diventa solo la metà di un percorso interminabile, tanto che quando guardo l'orologio è già ora di raggiungere il Covo. Bologna è ogni volta di più una città buia, spenta, arresa allo spirito di "guerra a bassa intensità" che oggi attraversa le strade di tante città italiane e non solo. E' Halloween ma in giro non c'è assolutamente nessuno: Piazza Maggiore praticamente vuota, sotto le torri due gruppetti con maschere di vario tipo pescate da V per Vendetta e Scream scappano verso chissà quale festa al chiuso di una casa o di un locale: dovrebbero essere loro a giocare a far fuggire le persone, ma qui sembra che nessuno abbia voglia di giocare. Qualche segnale di vita in via Zamboni, a vigilare i metronotte con le inquietanti divise "La Patria", comunque niente che spezzi l'aria funesta da coprifuoco permanente. Invitate la gente a restare chiusa in casa, montate un'emergenza dietro l'altra, mettete ad ogni angolo della vostra città polizia e telecamere a posto di musica, luci e spazi sociali, trasformate un omicidio individuale in un assassinio di massa di sanguinarie orde barbariche e questo vi ritrovate: città che appena chiusi i negozi assomigliano di più al set di un film di Romero che a luoghi dove vivere in comune le proprie esistenze. Nel bus verso il Covo incontro un'amica che studia a Bologna, ieri era alla manifestazione contro gli sgomberi delle case occupate: anche qui si continua a resistere all'ordine securitario e razzista, e inizio già a star meglio. Via Zagabria sarà pure un posto sperduto, ma il baretto sotto il Covo è sinonimo di "casa". Pochi minuti e arriva il socio milanese, il tempo di mangiare qualcosa e conoscere quel (santo) Ambrogio che ore dopo mi porterà sano e salvo in stazione nonostante tutto, e al Covo inizia il giro della morte: una serie di bevute offerte e ricambiate che ci porterà alla perdizione totale. In mezzo un sacco di bella gente, sudore alla menta e lime, due minuti appena di Fitnici Ritmici in apertura che siamo arrivati troppo tardi, un bel concerto degli Amari emozionatissimi ma anche per questo splendidi. L'acustica del salone alto e lungo del Covo certo non li aiuta, ma bastano pochi minuti e la legna inizia a salire fino al finale con tanto di "Don't stop movin' baby" degli Outher Brothers, ciliegina sulla torta delle varie citazioni "disco" con cui gli amari infarciscono i propri brani. E quando Pasta spara sulla folla con un bazooka lancia-coriandoli, il coprifuoco è già stato violato, la guerra a chi si diverte di più può partire, vincere è d'obbligo. Poche ore dopo sono a Roma, qua si respira un'altra guerra, in giro volantini incitano all'odio razziale, a pochi chilometri da dove dormo alcuni incappucciati stanno spaccando la testa a quattro rumeni, la redbull in corpo risale e dove prima c'era gioia ora c'è rabbia, allo stesso modo potente, allo stesso modo importante. Sì è vero, questo sembra non sia tempo per rivoluzioni, ma "è una scusa un'altra volta". E quando le fiamme dal bicchiere inizieranno a bruciare anche quelle poche "sicurezze"e libertà che ci sono rimaste, forse non avremo più voglia di restare a casa. Meglio pensarci prima, meglio non giocare col fuoco.