8.5.09

Un anno fa...



Fuori dal Fabric alle 5 di mattina c'è una sorta di mercato ma senza alcuna merce esposta.
Si passa tra due file strette di uomini che provano in ogni modo ad offrirti un comodo ritorno a casa in cab, un after-party in qualche locale appena aperto per l'occasione, una specie di panino che hanno il coraggio di chiamare hot dog.
Non si smette mai di lavorare qui, un cuore che pulsa 24 ore su 24, 365 giorni all'anno, compravendita continua di merci, sogni, desideri, vita.
Londra è la città che più di ogni altra ha in sè tutta la storia del capitalismo, le sue tappe e la sua evoluzione, la sua vittoria e le sue contraddizioni. Puoi trovare e comprare di tutto, puoi stravolgere completamente la tua vita o semplicemente essere di passaggio, l'importante è che tu capisca che sei solo, e che alternative non ci sono. Chi rema contro, anche se cospira in gruppo, si presenta comunque come fosse una sola persona, misteriosa e sconosciuta.
Scegliere l'anonimato è la via più sicura per continuare a lavorare dal di sotto dello spazio liscio che milioni di persone ogni giorno attraversano senza scambiarsi la benchè minima attenzione.
Restare ai margini vivendo continuamente al massimo, proprio come i ratti di Banksy o i bassi soffocati di Burial: musica che non ha nulla a che fare con l'inferno che si scatena ogni notte in un qualsiasi club, ma ne accompagna il momento dell'uscita quando i suoni rimbombano ancora in testa camminando da solo per le strade di Londra in cerca di un bus qualsiasi che ti riporti sano e salvo a casa.
Charterhouse street e Farringdon road alle cinque di mattina sono così, spartiacque tra i negozi del centro in attesa dei turisti del weekend e il deserto notturno metropolitano della City, ambientazione perfetta per un western post-moderno a metà strada tra Sergio Leone e Strange Days.
Nessun movimento sullo sfondo, solo qualche macchina che sfreccia veloce e che potrebbe benissimo non avere alcun guidatore. I suoni nelle orecchie sono quelli dei propri passi e del proprio respiro reso affannoso dalla stanchezza: il ciclo di 24 ore dalla sveglia delle sei e mezza mattutine per raggiungere Old Street dal sud di Brixton sta per concludersi, vittorioso ancora una volta.
Poche ore prima, quello stesso corpo, quelle stesse mani, quelle stesse gambe che ora reclamano riposo, si muovevano veloci al ritmo di batterie e bassi impazziti. Get Familiar è la serata mensile del Fabric organizzata da Switch e Sinden, non due nomi a caso ma tra i principali esponenti di quel movimento sonoro di cui è difficile trovare una categorizzazione, tra ghetto-tech / baile-funk / hip-electro / crunk e tante altre etichette inutili. L'importante è la massa di gente che riesce a spostare e le nuove leve che a Londra crescono come funghi.
Musica cafona al punto giusto: nessun rimpianto per quel basso che esce completamente dallo spettro sonoro, nessun compromesso con equalizzatori e decibel. Arrivare dritto al cuore del ritmo, estremizzando l'idea di mixare insieme garage, 2 step, loops hip-hop, voci distorte, baile funk, kuduro...
Come per la dubstep, un'ottima alternativa alla "dittatura" della drum'n'bass che continua a muovere intere masse anche a Londra senza stupire più di tanto e ripetendosi stanca.
Intorno a me una marea di ragazzini che saltano all'unisono con i colpi di cassa: sono tra i pochi a cui non chiedono un documento per entrare, in faccia i 28 anni si vedono tutti rispetto ai visi angelici dei "teppistelli" che mi trovo davanti. Lontano da qui molti dei miei coetanei hanno già appeso la vita al chiodo degli affari familiari, e nonostante l'ansia che monta nel corpo la mattina per la necessità di vivere ogni giorno al massimo, la felicità di resistere e i bassi che vibrano nella pancia compensano ogni disturbo.




(pic by davidjennings' flickr)

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