26.10.07

e sempre eterne matricole festeggiano il lutto di una nuova laurea

La Bolla” la chiamavamo, quella in cui entravano ignari le decine di ragazzi pugliesi e abruzzesi che finita la scuola venivano a soggiornare per diversi anni da noi.
“Scienze della comunicazione e dello spettacolo” indica il depliant.
All’inizio i buoni propositi, l’abbraccio caloroso della piccola città, le serate in compagnia passate a casa o in un qualsiasi pub del centro. Poi alcool a fiumi, cene e pranzi che si trasformano in aperitivi interminabili, i primi esami saltati, la rabbia dei genitori “che però, fanculo, stanno lontani mille miglia, ed oramai la mia famiglia è qui”. Gruppi solidi, compatti, tutto il giorno nella stessa casa a bere, fumare, qualche film, qualche cd, a volte assolutamente nulla, poi la spaghettata delle cinque di mattina, chiacchiere su chiacchiere, “cazzo il centro sociale adesso fa pagare 2 euro per entrare” “ehi fammi fare un altro tiro di coca” “ma dove l’hai presa? Quanto l’hai pagata?” “Che ti importa, tanto paga papà, lui crede che ci pago l’affitto” “Si ma non potrai stare per sempre qui da noi, il padrone di casa ci scoprirà” “Ehi, calma fratello, non mi stressare, toh fatti un sorso birra che ti passa… l’hai preparata la striscia?”.
E un bel giorno, dopo tanti e tanti anni, qualche capello in meno e qualche occhiaia in più, arriva anche la laurea, una bella tesi di 100 pagine che il tuo prof non ha neanche letto, ma chissenefrega! Guarda lì papà com’è contento, amici e parenti arrivati da fuori che si complimentano, Joe è già sbornio e presto lo raggiungerò, l’ultima sera nella Grande Bolla, poi da domani chissà.
Erano anni che non pensavo ad un domani, e oggi è la mia festa, il grande giorno è arrivato e non si pensa a nient’altro, l’ultima notte con la mia gente, la mia nuova famiglia, almeno fino a domani. La festa in cantina, un bicchiere veloce da Marì, poi un whisky da Giancarlo, all’Asilo Ricci ci sono altre due feste di laurea, andiamo e ci scoliamo tutto, fino all’ultima goccia, fino all’ultimo respiro, e prima che qualcuno si faccia male, prima che qualcuno si rompa una gamba per passare l’ennesima alba al pronto soccorso, canteremo insieme a squarciagola Il Ballo di San Vito, balleremo fino al mattino, ubriachi fradici.
Poi domani mattina, con il mal di testa e la camicia zuppa d’alcool, sceglieremo con calma se passare i prossimi anni della nostra vita nel tranquillo paesino natale, a prendere il posto di papà in azienda senza sapere neanche di che cosa si occupa questa benedetta azienda, metter su casa e famiglia, qualche sballo ogni tanto ma non troppo, droga tutte le sere certo. O andare a vomitare smog a Milano, il master pagato da papà, 24 mila euro per due anni più l’affitto e gli sfizi da pagare, “basta che poi ti trovi un lavoro eh? Sei un dottore oramai!” Lavoro? Dottore? Parole che fino a ieri non avevano neanche un senso per me, ed ora rimbombano nella testa, nel cuore, fin giù nella pancia e nello stomaco. Brucia più di qualsiasi sbornia, ma presto passerà. Un corpo addomesticato, un lavoro abbastanza serio e ben pagato da tenere a bada qualsiasi desiderio, insomma un Uomo, finalmente nel catalogo dei difficili ma grandi successi di ogni buon padre di famiglia.

(pic by galliot.com )

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Minchia, quanta verità.

Anonimo ha detto...

Comunque, per come stannno andando le cose, il finale, nonostante tutto, è quasi un happy end...

Anonimo ha detto...

mmm...
e giocaci un po' tu con sta bolla va...
che fotografia agghiacciante...
ma chi ha il coraggio di dire che non è vero???

Anonimo ha detto...

Ho vissuto 'sta cosa per tre anni, ovviamente senza piste e senza torboni (per davvero, sono inusuale). Poi un bel giorno mi sono svegliato, ho visto che non combinavo una sega a pedali, e sono andato a lavorare.
Però, a volte, spero che il 2012 giunga presto.